Oggi parleremo di uno degli argomenti cult di Parigi: i poeti maledetti e lo Spleen de Paris.
E di certo non potevo trasferirmi nella mia città del cuore e non leggere l’intramontabile raccolta di poemi di Charles Baudelaire.
Non mi aspettavo certo di trovare un elogio alla città, visto che di ritorno da una sorta di esilio da parte del padre, l’autore ha cominciato a trovarla buia e opprimente.
Però mi incuriosiva troppo ritrovare tra le righe quel male di vivere così decantato e così distintivo dei soprannominati Poeti Maledetti: figure alla ricerca di una sorta di benessere interiore che, però, non riescono mai a trovare.
E non si tratta di semplici soggetti anticonformisti che si ribellano a modelli convenzionali imposti dalla società. Sicuramente non si identificano in essa, ma il problema è che, più di tutto, loro rifiutano sé stessi.
Infatti, il “poeta maledetto” è angosciato dallo stato di prigionia in cui si trova, consapevole però che è lui stesso l’artefice dei suoi turbamenti esistenziali e della sua sofferenza.
Questo duplice rifiuto, lo porta a condurre una vita dedita agli eccessi, ai rapporti sessuali promiscui, all’alcolismo e all’uso delle sostanze stupefacenti, nonché gesti suicidi.
L’arte, allora, diventa un sedativo, l’unico strumento per poter dare sfogo al male di vivere da cui sono afflitti. Una sorta di disperazione che, diversamente, non potrebbero esprimere.
È stato Paul Verlaine a dare origine al nome, con l’opera Les poètes maudits– pubblicata nel 1884 -e, come C. Baudelaire, possiamo pensare non solo a poeti, ma anche a registi o pittori, come Vincent Van Gogh.
Anche se è un mondo così lontano dai miei ideali, mi affascina perché, al tempo stesso, mi ci sento vicina. Un pò per la sofferenza causata, talvolta, dalla sensazione di sentirmi incompresa e artefice delle mie stesse sofferenze. E un pò per il loro modo di vedere l’arte come un’entità infinita, sublime. La sola e unica in grado di dare voce a ciò che è celato nel profondo dell’animo umano.
Così, ho deciso di inaugurare le mie letture parigine “maledette”, acquistando “Le Spleen de Paris“.
Non importa che non capisca tutto, tanto ho la piccola agenda dove annotto tutte le parole o le espressioni nuove.
E ho deciso che sul blog, di tutti i libri che leggerò, condividerò le parti che più mi ispirano e che, magari, possono far affiorare anche in voi riflessioni o desideri.
Scorrendo tra le varie pagine, il poema che più mi ha colpito si trova al capitolo XXXV.
Si intitola
Les fenêtres
Celui qui regarde du dehors à travers une fenêtre ouverte, ne voit jamais autant de choses que celui qui regarde une fenêtre fermée.
Il n’est pas d’objet plus profond, plus mystérieux, plus fécond, plus ténébreux, plus éblouissant qu’une fenêtre éclairée d’une chandelle.
Ce qu’on peut voir au soleil est toujours moins intéressant que ce qui se passe derrière une vitre.
Dans ce trou noir ou lumineux vit la vie, rêve la vie, souffre la vie.
Par delà des vagues de toits, j’aperçois une femme mûre, ridée déjà, pauvre, toujours penchée sur quelque chose, et qui ne sort jamais.
Avec son visage, avec son vêtement, avec son geste, avec presque rien, j’ai refait l’histoire de cette femme, ou plutôt sa légende, et quelquefois je me la raconte à moi-même en pleurant.
Si c’eût été un pauvre vieux homme, j’aurais refait la sienne tout aussi aisément.
Et je me couche, fier d’avoir vécu et souffert dans d’autres que moi-même.
Peut-être me direz-vous : « Es-tu sûr que cette légende soit la vraie ? »
Qu’importe ce que peut être la réalité placée hors de moi, si elle m’a aidé à vivre, à sentir que je suis et ce que je suis ?
Tu l’hai letto?
Se sì, magari condividi nei commenti il paragrafo che ti è piaciuto di più!
Ti può interessare anche…