Tra i consigli di Mark Manson per essere veramente felici, oggi vorrei parlare di uno in particolare che mi ha aiutata tantissimo. Mi ha liberata da quei modelli di perfezione a cui ero stata abituata per anni.
Modelli che però mi allontanavo sempre di più da me stessa. Per cosa poi? Per somigliare a qualcuno che credevo migliore di me.
Ma andiamo per gradi e, come al solito, vi presento prima l’autore.
Mark Manson è un blogger americano, scrittore e imprenditore. Con i suoi libri è stato più volte al numero 1 nella classifica dei libri più venduti del New York Times, è stato tradotto in oltre 60 Paesi raggiungendo la vetta delle classifiche di vendita in 16 di essi, e ha venduto oltre 15 milioni di copie in tutto il mondo. Gestisce un blog (markmanson.net) e una newsletter che vengono letti da più di un milione di persone ogni mese. Attualmente vive a Los Angeles. Newton Compton ha pubblicato con grande successo La sottile arte di fare quello che c***o ti pare, per mesi nella classifica dei libri più venduti anche in Italia, Siamo fottuti, ma forse c’è ancora una speranza e La sottile arte di fare quello che c***o ti pare. Giorno per giorno.
Vi ricordate l’esperimento di rinascita William James che avevo pubblicato tempo fa? Riguarda sempre il suo libro.
E oggi vorrei condividere quello che secondo me è la chiave di tutti i “consigli” ricevuti finora. Secondo me è quello che ci permette poi di ritrovare la nostra unicità, che forse, anche attraverso i social, stiamo un pò perdendo.
Si trova al primo capitolo ed è:
Non provare
Parte da una premessa (che quando l’ho letta per la prima volta, ero scioccata e mi sono detta: “Ma scusa, non dovrebbe aiutarmi a stare bene?“) Ma gli ho dato una chance e sono andata avanti nella lettura.
“Charles Bukowski era un alcolizzato, un donnaiolo, un giocatore incallito, un delinquente, un taccagno, un lavativo e, nei suoi giorni peggiori, un poeta. È probabilmente l’ultima persona al mondo da cui andresti per ricevere consigli di vita o che ti aspetteresti di trovare in un libro di auto-aiuto.
E proprio per questo è il punto di partenza perfetto.
Bukowski ha affrontato numerosi fallimenti prima di essere riconosciuto come scrittore (parliamo davvero di oltre 30 anni di rifiuti). Le case editrici lo giudicavano un “depravato” e “disgustoso”. Ma, dopo molti anni un editore indipendente decise di dargli una possibilità.
Bukowski accettò, sapendo che sarebbe stata la sua unica occasione. Così, dopo aver firmato il contratto, Bukowski scrisse il suo primo romanzo in tre settimane. S’intitolava Post Office. La dedica recitava: «Dedicato a nessuno».
Bukowski sarebbe diventato un romanziere e un poeta. Avrebbe pubblicato sei romanzi e centinaia di poesie, vendendo più di due milioni di copie. La sua popolarità superò le aspettative di tutti, soprattutto le sue.
Storie come quella di Bukowski costituiscono le basi della nostra narrazione culturale. La sua vita incarna il Sogno Americano: un uomo che lotta per quello che vuole, senza mai arrendersi, e realizza infine i suoi sogni più sfrenati. È praticamente la sceneggiatura di un film. Sentiamo storie del genere e diciamo: «Vedi? Non si è mai arreso. Non ha mai smesso di provare. Ha sempre creduto in se stesso. Ha persistito contro tutto e tutti ed è diventato qualcuno!».
È strano, allora, che l’epitaffio sulla sua lapide reciti: «Non provate».
La chiave: non cercare di essere altro
Il successo di Bukowski non nasceva dalla determinazione a essere un vincente, ma dalla consapevolezza di non esserlo, dal fatto che accettò la cosa e poi ne scrisse con onestà. Non cercò mai di essere altro. La genialità della sua opera non sta nel superamento delle avversità o nella sua trasformazione in un brillante faro letterario. L’esatto contrario: è la sua capacità di essere completamente, risolutamente onesto con se stesso – soprattutto con i suoi lati peggiori – e di condividere i propri difetti senza alcun dubbio o esitazione.
Successo e miglioramento: il problema culturale e dei social di oggi
Successo e miglioramento di sé avvengono spesso in contemporanea. Ma questo non significa necessariamente che siano la stessa cosa.
Oggigiorno la nostra cultura si concentra ossessivamente su aspettative irrealisticamente positive: sii più felice. Sii più sano. Sii il migliore, meglio degli altri. Sii più intelligente, più veloce, più ricco, più attraente, più popolare, più produttivo, più invidiato e più ammirato.
Sii perfetto e formidabile, e ogni mattina prima di colazione, dopo aver cagato pepite d’oro dodici carati, saluta con un bacio la tua mogliettina pronta per un selfie e i tuoi due bambini e mezzo. Poi vola in elicottero al tuo lavoro meravigliosamente gratificante, dove ti occuperai di cose incredibilmente significative che un giorno finiranno con ogni probabilità per salvare il pianeta.
Se ti fermi davvero a pensarci, però, i normali consigli di auto-aiuto – tutta quella roba positiva e felice che sentiamo di continuo – si concentrano in realtà su ciò che ti manca.
Mettono in luce quelli che già vivi come personali mancanze e fallimenti, e non fanno che enfatizzarli. Impari i modi migliori per fare soldi perché pensi di non essere ancora abbastanza ricco. Ti metti allo specchio a ripetere che sei bello perché senti di non esserlo. Segui consigli romantici e relazionali perché hai la sensazione che sia difficile amarti. Provi a fare strani esercizi di visualizzazione per avere più successo perché senti di non averne già abbastanza.
Ironicamente, questa fissazione sul positivo – su ciò che è meglio, ciò che è superiore – serve solo a ricordarci di continuo cosa non siamo, cosa ci manca, cosa saremmo dovuti diventare se non avessimo fallito. Dopo tutto, nessuna persona realmente felice sente il bisogno di mettersi a ripeterlo davanti allo specchio. È felice e basta (…)
Ti ci ritrovi anche tu in queste parole?
A me personalmente, hanno liberata da tutto quello che in realtà facevo solo perché credevo che mi avrebbe resa felice.
Mi ricordo che proprio quel giorno sarei dovuta andare al parco per fare yoga.
Ho guardato il tappetino- dopo aver letto questo capitolo– e mi sono detta “Ma io odio lo yoga”
La mia prima liberazione.
E con questo non dico che da adesso devi andare a ubriacarti, diventare un alcolizzato e non fare sport. Non è questo il messaggio.
Però quante volte hai fatto fatica nell’intraprendere un percorso? E prima di condannarti credendo di non essere abbastanza, ti sei mai chiesto “ma quello che sto facendo mi piace? Mi rappresenta realmente?
Ti lascio al link se ti interessa leggere il libro. Basta che clicchi sull’immagine.