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Extracadabra e il mio primo extra da Maison Maison

Oggi vorrei condividere con voi la mia prima esperienza come extra da Maison Maison, trovata grazie a Extracadabra, l’app di cui ho parlato poco tempo fa. (Puoi trovarla qui: Instagram).

Tornati dalla Bretagna con Lui (il venerdì), avevo ancora tutto il weekend libero. Il sabato l’ho dedicato alle cose di tutti i giorni: ho pulito casa, fatto la spesa, la lavatrice etc etc; e poi ho deciso di andare nell’ultima dimora di O.Wilde, per stare un pò lì davanti. Ogni tanto mi piace andarci, è uno di quei luoghi di Parigi che sento più miei.

Per la domenica non avevo niente in programma. E non avevo avevo voglia né di stare al pc né di poltrire. Mi sentivo piuttosto riposata e piena di energie. In Bretagna, infatti, non ho fatto che passeggiare, mangiare e stare stravaccata in spiaggia. E poi qualche soldino in più (visto quelli spesi per i vari outfit in vista dell’incontro con la famiglia di Lui), ho pensato mi avrebbe fatto più che comodo.

Sono andata sull’app il sabato stesso e scrollando tra le varie offerte disponibili, ho postulato su una per l’indomani [come runner] in un posticino sul Quai du Louvre. Avrei fatto dalle 10:30 alle 17:30. Un orario tutto sommato ragionevole. Poco dopo ho ricevuto la notifica dall’app di avvenuta conferma della candidatura.

Non vi nascondo che ero impaurita e al tempo stesso elettrizzata.

Mentre percorrevo il tragitto in metro, infatti, sentivo quell’ansia tipica del nuovo mista all’eccitazione del non sapere dove avrei lavorato, che persone avrei incontrato né come sarebbe stato. E senza dimenticare che probabilmente non avrei più lavorato in quel posto né visto quelle persone. Avrei fatto il mio lavoro, ricevuto la mia somma a fine mese e poi pronta per un’altra esperienza in un posto nuovo decisa dall’oggi al domani.

Si potrebbe vivere sempre così? Mi sono chiesta mentre percorrevo la scalinata che conduceva al ristorante.

Appena arrivata, mi ha accolta S., uno degli Chef de rang di Maison Maison. Aveva l’aria accogliente e gentile. Mi ha fatto posare le mie cose nello stanzino e poi mi ha chiesto se volessi un caffè o altro prima di cominciare.

Dopodiché siamo scesi, e mi ha mostrato di cosa mi sarei occupata. Per cominciare, avrei dovuto sistemare le sedie e poi preparare il coperto. Qualcosa di semplice e decisamente poco impegnativo. Durante il servizio mi sarei occupata di portare le bibite ai tavoli e sparecchiare.

Infatti, il bello di fare il runner è che non è richiesto un livello di competenza specifico. Mi spiego meglio, non è come coprire il ruolo anche solo di cameriere. Infatti, come è spiegato bene su questo sito, “il ruolo del runner, chiamato anche commis de salle, è quello di trasportare cibo e bevande dalla cucina al tavolo del cliente“.

Oltre a servire i piatti/bevande al tavolo, il runner si occupa anche di débarasser (sparecchiare). Il contatto con il cliente è davvero minimo (a differenza del cameriere) ed è un qualcosa che puoi apprendere il mattino per il resto del servizio. Ecco perché dico che non è richiesto un livello di competenza specifico. L’importante è che tu sia veloce e attento. Uno svantaggio è che sei pagato meno rispetto agli atri ruoli (15€ runner/ 17€ serveur.se/ 19€ chef de rang e così via).

A me andava bene così quel giorno. Non avevo voglia di stare troppo a contatto con i clienti. Mi piaceva l’idea di essere pressoché invisibile, facendo il mio lavoro, con il minimo sforzo mentale. Anche se a livello fisico è piuttosto faticoso.

Come prima esperienza, devo dire che è andata oltre le mie aspettative. E penso che la posizione del ristorante abbia giocato un ruolo decisivo. Infatti, Maison Maison si trova in quella parte del lungo Senna che si affaccia direttamente sulla Tour Eiffel. Mentre sparecchiavo, ogni tanto mi incantavo e pensavo che non era poi così male débarrasser con una vista così.

In più l’équipe è composta di soli giovani, tutti iper disponibili e accoglienti. Più volte mi hanno chiesto se volessi fare una pausa o di servirvi al bar e prendere la bibita che preferissi. Si rivolgevano a me come se lavorassi con loro da mesi. Poi io non sapevo neanche se avrei mangiato lì, infatti mi sono preparata un panino da casa; ma alla fine ho pranzato insieme loro, anzi S. mi ha servito per prima il piatto il pollo e patate (buonissimiii) che avevano preparato per il personale.

Purtroppo, però, verso le 16 ha cominciato a diluviare, c’era un vento fortissimo. Per ripararci dall’acquazzone alcuni sono saliti nella sala interna al primo piano facendo accomodare gli ultimi clienti rimasti; altri (tra cui io) si sono intrufolati nel chiosco bevande della terrazza aspettando che la pioggia si calmasse.

Mentre diluviava, Il manager, fissando la pioggia che cadeva incessantemente sull’asfalto, mi ha comunicato che avrei finito prima visto che visibilmente non c’era più praticamente nessuno. Oltre a me, ho visto che cominciava a chiamare altri due che avrebbero dovuto iniziare l’extra la sera, per avvisarli che purtroppo avrebbe dovuto annullarli.

In quel momento non c’era proprio più nulla da fare e io mi sentivo pressoché inutile. Così sono rimasta semplicemente lì, ad aspettare e nel mentre ho fatto due chicchere con i 3 rimasti lì.

Mi hanno chiesto di me e del perché fossi a Parigi. Ho cominciato il discorso spiegando che prima di venire qui ero assistente procuratore (per semplificare) e loro hanno sbarrato gli occhi, quasi fossi un alieno. Come a dire “Ma allora che ci cavolo ci fai qui a débarasser?”

Visti i loro sguardi, ho aggiunto subito dopo “J’avais envie de changer de vie et de le faire à partir de ma ville de rêve, Paris“.

Sono rimasta un po’ disillusa quando mi hanno fatto capire che Parigi non è la migliore città per cambiare vita, anzi, è la città dalla quale la maggior parte della gente vuole evadere per cambiare vita.

Non avevo voglia di andare troppo nei dettagli, né di dare troppe spiegazioni; dopo tutto li avevo appena incontrati. Così mi sono limitata a rispondere che ero felice così e a indirizzare l’attenzione su di loro, per conoscerli un pò ed evitare di parlare troppo del mio percorso.

Mentre percorrevo il tragitto verso casa, non ho potuto però fare a meno di pensare che è un po’ triste rendermi conto che più vado avanti e più mi accorgo che sono davvero poche le persone che amano vivere a Parigi. Anzi, al contrario, molti più che viverla, la subiscono.

Sicuramente non è una città facile da vivere. Io stessa a volte faccio un pò fatica a sostenerla e spesso ho bisogno di isolarmi per ritrovare il senso delle cose. Che significa?, vi starete chiedendo. Non so come spiegarlo. Il fatto è che è una città che va talmente veloce che a volte è come se ti trovassi dentro una voragine, o peggio, un processo di produzione. Ciascuno segue il proprio compito ogni giorno meccanicamente e velocemente all’interno di uno spazio condiviso ma apparentemente illimitato. La fretta e i ritmi nel farlo ti danno come come la percezione di perdere il senso della realtà delle cose, della vita, di sé.

Un po’ impari a gestirlo. Io, ad esempio, mi prendo dei momenti da dedicare esclusivamente a me e a quello che amo veramente fare. Ora mi viene naturale ma pochi mesi fa me lo sono dovuta un pò imporre, in un periodo in cui non riuscivo più a fermarmi.

Ora, dicevo, mi viene naturale e in quei momenti cerco di stare nel verde o vado nei posti della città che sento più miei, con il mio diario, lontana da tutto il resto. In questo, anche la bici mi ha aiutata tantissimo.

È un aspetto sul vivere a Parigi che, a mio avviso, è molto importante da tenere in considerazione. Prendersi davvero un momento per fermarsi, stare lì con sé, senza l’angoscia perenne di perdersi qualcosa. È importante perché altrimenti penso che poi, sul lungo termine, c’è il rischio di rimanere risucchiato dalla città stessa, con l’inevitabile sensazione di sentirsi intrappolati e di avere poi voglia solo di evadere.

A parte questo aspetto, che comunque può essere superato, arrivata all’ultima fermata della metro, pensavo che dopotutto, non potrei vivere in nessun’altra città.

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